L'anno è il 1816. Ci sono ancora decenni tra lei e l'invenzione della prima lampadina a incandescenza. Ci vorrà più di un secolo perchè la Via Lattea si riveli non come l'intero universo, ma come una delle innumerevoli galassie. La fotografia deve ancora essere inventata; l'atomo deve ancora essere diviso; Nettuno, penicillina e DNA devono ancora essere scoperti; la teoria della relatività e la meccanica quantistica devono ancora essere concepite. La stessa parola "scienziato" deve ancora essere coniata (per il matematico scozzese Mary Somerville).
In questo contesto e nei suoi angusti aspetti della conoscenza, appena immaginabili per la visione odierna della comprensione scientifica, Mary Shelley scatenò la sua immaginazione, sfidata da Lord Byron, e cominciò a scrivere ciò che sarebbe stato pubblicato diciotto mesi dopo, il primo giorno del 1818, come "Frankenstein; o Il Prometeo Moderno". Il suo messaggio è tanto cauto quanto irreprensibilmente ottimista. "Il lavoro degli uomini di genio", scrive questa donna di genio, "per quanto possa essere sbagliato nella sua direzione, non fallisce quasi mai nel tradursi alla fine in un concreto vantaggio per l'umanità".
Dal lungo articolo di Maria Popova: 200 Years of Frankenstein: Mary Shelley’s Masterpiece as a Lens on Today’s Most Pressing Questions of Science, Ethics, and Human Creativity
Frankenstein: Annotated for Scientists, Engineers, and Creators of All Kinds
Reanimation
Frankenstein or The Modern Prometheus (Project Gutenberg)
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