Tutto quello che veniva vissuto in prima persona ora è diventato mera rappresentazione.
Questa frase, che sembra lo slogan del terzo millennio, risale al 1967 ed è di Guy Debord (1931-1994) un filosofo, sociologo, scrittore e cineasta francese, che è stato tra i fondatori dell'Internazionale Situazionista, un movimento della seconda metà del XX secolo che si interrogava sugli effetti del capitalismo.
Si sviluppa sull'osservazione della teoria dell'alienazione (allontanarsi da sé stessi per essere inghiottiti dall'identità dello strato sociale cui si appartiene) e il feticismo commerciale (quando le relazioni economiche contano di più di quelle umane).
Nel suo saggio più celebre: "La società dello Spettacolo" espone 221 tesi numerate e descrive la "separazione delle immagini dalla vita".
"Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un'immensa accumulazione di spettacoli". Le immagini del mondo dettate dalle necessità della produzione capitalistica si sono staccate dalla vita, al punto che lo spettacolo è considerato come "l'inversione della vita".
E la definizione di "spettacolo" è la seguente: "Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini", una "visione del mondo che si è oggettivata".
Debord insomma afferma che l'effetto di questa "falsa realtà" definita "spettacolo" viene attenuato dai media e dalla pubblicità, e quindi non riusciamo a cogliere il vero impatto che ha sulle nostre vite. Per riuscire a sfuggire da questa attitudine passiva e cogliere una reale realizzazione come individui occorre vivere l'attimo, partecipare in prima persona alle "situazioni" evitando il più possibile il ruolo di "spettatori".
Sembra decisamente un passepartout per capire qualcosa di più sugli effetti dei media attuali. Come al solito 50 anni in anticipo sui tempi.
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